Terrorismo e riciclaggio. Due “attività” spesso associate alle criptovalute. Per molti, per i più, un’associazione fallace se non falsa, o almeno ingenerosa. Per alcuni, spesso e volentieri i policy maker, un’ipotesi realistica.
Di recente si è espresso a riguardo un importante esponente del Tesoro USA, mettendo i puntini sulle “i”, separando il vero dal falso, le voci di corridoio dalle analisi. In buona sostanza, ha emesso una sorta di verdetto. Le criptovalute sono strumenti in mano ai terroristi e ai riciclatori di denaro? Scopriamolo.
L’opacità delle criptovalute
Prima di dare contezza delle parole del Tesoro USA è bene introdurre un tema molto ostico e che non ha mancato di accendere gli animi negli ultimi dieci anni.
Il tema è proprio questo: il rapporto tra attività illecite e criptovalute. Un rapporto paventato certo alla luce di qualche evidenze di tipo giudiziario, ma alimentato dalle peculiarità delle criptovalute stesse. In particolare, dal focus sulla privacy e sulla decentralizzazione. E’ indubbio che nell’immaginario collettivo uno strumento di pagamento che garantisce – nei limiti del possibile – l’anonimato e che sfugga ai canali standard faccia gola alle associazioni criminali, a chi deve acquistare questo o quel materiale, dispositivo, strumento o arma per compiere le sue malefatte.
Da qui a ipotizzare le criptovalute come risorsa massiva per terroristi, delinquenti e riciclatori, però, ce ne vuole. E anche qualora un certo rapporto, una certa tendenza venisse confermata, la responsabilità non andrebbe allo strumento in quanto tale, bensì al suo utilizzatore.
Per fortuna, le ultime vicende che hanno riguardato il Tesoro USA consentono di vederci finalmente chiaro e di assegnare al fenomeno la sua giusta importanza
Terrorismo, riciclaggio e criptovaluta: la posizione del Tesoro americano
Tutto è partito da alcuni resoconti dei media che “avvertivano” della disponibilità di Hamas di decine di milioni di dollari in criptovaluta. Il polverone si è alzato quasi subito, creando uno scontro tra i fautori di questa tesi e alcuni esperti crypto che non erano d’accordo.
Sicché, è dovuto intervenire il Tesoro Usa. O, per meglio dire, il sottosegretario del tesoro Brian Nelson. L’esponente del governo ha parlato della questione durante un’audizione alla Commissione per i servizi finanziari della Camera.
In parole povere, ha ammesso che i numeri in effetti sono esagerati e che le associazioni terroristiche preferiscono di gran lunga gli strumenti della finanza tradizionale. In parole povere, il denaro vero e proprio.
Ecco cos’ha dichiarato nello specifico.
“Per essere chiari, Hamas sta utilizzando Cripto in quantità relativamente piccole rispetto a quanto ampiamente riportato. Valutiamo anche che i terroristi preferiscono ancora, francamente, utilizzare prodotti e servizi tradizionali”.
Una questione di pregiudizi e prese di posizione
A fare riflettere non sono le parole di Nelson, quanto il fatto che le abbia dovute pronunciare. Ovvero, che si sia ancora una volta tirato in ballo il mondo crypto per questioni che, con la finanza, hanno poco a che vedere.
E’ lecito pensare a una forma di pregiudizio latente, che nasce dallo scetticismo verso strumenti oggettivamente diversi e che puntano all’anonimato e all’indipendenza. Tuttavia, l’anonimato non è sempre sinonimo di opacità e l’indipendenza non sempre (anzi quasi mai) segnala una distanza con ciò che legale.
Fa specie anche il fatto che Nelson abbia dovuto in qualche modo prendere le difese delle criptovalute. Anche questo è un segno dei tempi. Le criptovalute stanno conquistando una loro dignità istituzionale, le distanze in termini di percezione con gli asset tradizionali si stanno riducendo. A dimostrarlo, la progressiva integrazione delle criptovalute e dei sistemi blockchain nelle attività economiche, e il colpo di coda di Bitcoin, ora disponibile in versione ETF spot.
Insomma, la diatriba è destinata a continuare, ma con parecchia carne al fuoco e sulla base di rapporti di forza molto diversi rispetto a quelli di qualche anno fa.